su di me e sul perchè

Luca Baldassari
Nato a Roma il 3 ottobre 1972
Diplomato presso l’Istituto di Stato per la Cinematografia e Televisione “Roberto Rossellini”, sezione fotografia, anno 1993.

Principali esposizioni:

Rassegna Galleria Aperta presso Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Arezzo 2024 (Arezzo) – Un Lazio d’aMare – EATALY Wine Festival 2019 (Roma) Un Lazio d’aMare – Castello di Santa Severa 2019 (Roma) –  Phototrace 2019 – Giorni e nuvole – Palazzo della fraternità (Arezzo) – FOTOLEGGENDO 2015 Spazio OF (Roma) – NAKED CITY – FEST ROMA. LA NUDA CITTÀ 2013 – Musinf – Museo dell’Informazione e Arte Moderna V edizione della Mostra Nazionale di Fotografia Stenopeica (Senigallia) – Città Altra Economia WWPPD 2011 (Roma) – Officine K (Roma) – Sala Fenice (Trieste) – Lanterna Magica (Palermo) – Polifemo Fotografia (Milano) – Osservatorio Gualino (Torino) – Vision Quest (Genova) – The Brick Lane Gallery (Londra) – Galleria di Via Larga (Firenze) – One-day Pinhole and Reggae Project (Niznevartovsk – Russia) – GARAGE (Omsk – Siberia) – Gallery ART+FACT.LTD (Tashkent – Uzbekistan) – Festival of contemporary art Living Perm (Perm – Russia) – Academy of Photography (Tomsk – Russia) – Galleria RGB46 (Roma) – Enoteca Cavour 313 (Roma) – Fotoforniture Sabatini (Roma) – Ristorante ott8 e mezza (Roma) – VISTA Arte e Comunicazione (Rome) – Adrenalina (Roma) – Casa d’aste Bloomsbury Auction (Roma) – Galleria Eralov (Roma).

Filosofia:
Non so dire molto sulla mia filosofia diciamo che è ancora in via di definizione, ma a dir la verità credo che non riuscirò mai bene a definirla. Uso prevalentemente la tecnica del foro stenopeico. Tecnica che utilizzo ormai da oltre 30 anni. Le macchine fotografiche e fori sono costruiti artigianalmente da me, questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad usare questa tecnica. Mi permette di poter costruire il mio spazio visivo/fotografico in tutta libertà e poter usare tutti i materiali sensibili a disposizione, dalla carta fotografica alla polaroid e fuji al digitale. Mi permette inoltre di usare tempi d’esposizione lunghi e vedere le cose/la vita da un punto di vista altro, differente. Con tempi diversi mi concedo tempo per capire meglio per pensare.
Il tema comune delle mie foto è spesso il viaggio, e gli scatti sono appunti che mi aiutano a trattenere luoghi e spazi nella memoria. Così, al ritorno, le immagini si inseriscono in un progetto più ampio che le lega le une alle altre, tracciando una storia.

Ho costruito diverse macchine fotografiche a foro stenopeico, ma quella a cui sono più affezionato e che mi ha dato molti problemi nella realizzazione a stata quella circolare. Ci sono voluti due anni per perfezionala e spesso mi è venuta la voglia di buttare tutto all’aria per le difficoltà che incontravo nel costruirla. Ma il risultato che ne è scaturito e le sensazioni che mi provoca mi hanno convinto che si è trattato di tempo e fatica ben spesi. Avendo il tempo e i mezzi fotograferei sempre con questa macchina anche se è ingombrante e richiede molto impegno sia fisico e sopratutto mentale per lavorarci. Avere una visione a 360 gradi di quello che si sta cercando di fotografare mi dà molto da pensare. Mi capita spesso di smettere di pensare e di accettare quello che verrà perché so che è una cosa che non posso controllare fino in fondo e del resto accade così anche con la vita. I dodici fori che scattano contemporaneamente mi danno una visione molteplice e moltiplicata e sovrapposta di quello che sto fotografando, per forza di cose si sposta il punto di vista. Ed è forse quello che dovremmo fare anche noi, cercare un nostro punto di vista con consapevolezza, cercando di sforzarsi con la voglia di prenderne in considerazione altri. Io almeno la penso cosi. Da questi scatti è nata la serie “rotoforo”.

Questo testo estratto dal libro da “Dance Dance Dance” di Murakami Haruki  pubblicato nel 1998 da Enaudi
«Io non sono affatto un tipo strano. Lo penso sinceramente. Magari non sarò il tipico cittadino medio, ma non sono un eccentrico. Sono una persona molto normale. Straight. Dritto e preciso come una freccia. Vivo come so, e non mi preoccupo troppo di come mi vedono gli altri. E’ un problema che riguarda più loro che me. Alcuni mi giudicano più ingenuo, o più calcolatore, di quanto sia in realtà. Pazienza. Anche come sono io in realtà, è una mia idea soggettiva. Gli altri avranno le loro ragioni. Che importa? Non è una questione di malintesi, ma di modi di vedere diversi. Il mio è questo»
mi ha dato l’incipit per la prima personale che ho fatto e si chiama: “amò – eh! – a che pensi? – a Niente!”. Questa mostra è nata quasi per caso, per gioco, girovagando in internet mi è capitato di trovare degli aforismi/citazioni che aderivamo al mio modo di vedere le cose, la vita, la fotografia, ci ho pensato un po’ cercando di approfondire prendendo spunto da libri, film, di mettermi in ascolto, e dal caso la mostra si è trasformata in esigenza, un’opportunità per farmi conoscere, e per conoscere gli altri.

Parte integrante della mia ricerca fotografica sono i viaggi. Quando viaggio mi dimentico di tutto, riesco a mettermi in una condizione di rilassamento e cerco di mettermi in ascolto, in empatia con il luogo che sto visitando, come quando sono stato in Giappone dopo anni di “Prima o poi ci vado!”. Senza sapere molto o forse non volendo sapere. Cosa rimane negli occhi. Anche stavolta porto con me il foro stenopeico, mezzo, modo, memoria, ricordo e visione di un mio Giappone che ho sentito e voluto fotografare con la voglia di ritornare.  O come il Canada. Il foro, lo uso per prendere appunti visivi di viaggio. Scattando con pellicole a sviluppo immediato avevo il problema di come catalogare e conservare durante il viaggio i miei scatti, mi è venuto in mente Bruce Chatwin, di cui sono un forte consumatore, e sui moleskine cosi ho costruito una dima in polistirolo che mi permette di tagliare le pagine e inserire la foto come si faceva negli album di una volta.

Altri progetti che sto portando avanti sono “Evanescenze” (che tende a dissolversi, che si trasforma nel nulla. Guardando le mie foto mi sono accordo che c’era qualcosa/qualcuno. Spesso mi sono chiesto se fossero presenze che mi seguono nei miei viaggi e mi fanno compagnia che si svelano al foro stenopeico che riesce a fissarle nella loro tenue figura, o sono solo fantasmi? Forse!) e “Movimentazioni” (un tentativo di rappresentare l’andamento dell’agire nello spostamento, con un macchina fotografica per molti versi speciale. Tutte le foto sono scattate con il foro stenopeico).

Questo e un pò, il mio modo d’approcciare il foro stenopeico e in generale la fotografia e la vita, spero sia comprensibile quello che voglio esprimere, del resto non ci si può aspettare molto da un che fa le foto con un buco.
Con le parole, comunque, non riesco ad esprimere bene il mio pensiero, che è fatto prevalentemente di forme, di linee e di colori, e ho imparato a lasciare agli altri il compito di dare voce e corpo alle immagini e al mio mondo. Li ringrazio uno ad uno per aver avuto il desiderio di portare alla luce e raccontare tanto di me e del mio modo di fotografare.

Riccardo Pieroni
professore al cine e tv e mio mentore, sulla mostra “amo – eh! – a che pensi? – a Niente!” mostra personale presso la libreria Bibli, Roma
Luca è una persona di poche parole… cioè pensa molto!
Ha scelto di fotografare con il foro stenopeico, su apparecchi autocostruiti: una fotografia da meditazione. Tempi lunghi. La luce (la radiazione, l’energia) si posa lentamente sul materiale sensibile e, contemporaneamente, si stratifica nella coscienza del fotografo: si tratta di una particolare forma di conoscenza che mira alla profondità delle cose, all’essenza.
Non è facile descrivere le sensazioni che si provano operando con il foro stenopeico. Si tratta di una fotografia “naturale” e, insieme, molto “tecnica”. Luca è un costruttore: le macchine fotografiche escono dalle sue mani. E’ uno sperimentatore: ogni condizione di illuminazione, di colore, di forma richiede una modifica del processo. E’ un viaggiatore: si porta dietro la sua strana attrezzatura e vede quello che gli altri non possono vedere. E’ un artista: la tecnica costruttiva più elementare e “leggera” si associa alla magia tecnologica della fotografia ”immediata” (polaroid, fuji) e stabilisce un metodo di lavoro che accetta l’imprevisto come parte della ricerca. Il computer interviene alla fine, paradossalmente, per dare “materialità” ad un processo per gran parte etereo, evanescente.

Per questa mostra Luca ha deciso di associare le immagini dei suoi viaggi a delle parole: citazioni. Sono i pensieri che nei lunghi periodi di attesa che la foto “si faccia”, durante gli spostamenti, durante il realizzarsi del processo fotografico, affiorano alla mente e che miracolosamente troviamo cristallizzati in pensieri di altri, in parole volanti (dai libri, dai film…) che incontrano le nostre riflessioni non dette e precipitano su un foglio in forma definitiva e perfetta.
Diciamo la verità: noi fotografi non accettiamo di buon grado l’indeterminatezza dei significati delle nostre fotografie. Ci piacerebbe tanto che l’osservatore pensasse e vedesse come noi, che ri-conoscesse ciò che noi abbiamo conosciuto. Ma non è a questo che servono le fotografie. Da ogni immagine inizia un percorso creativo nuovo, tutto dell’osservatore, che noi non possiamo controllare o arginare. Possiamo solo indirizzare, circoscrivere, suggerire sperando in un possibile incontro… tra pensieri volanti.
Riccardo Pieroni, gennaio 2009.

Pamela Cento
curatrice della collettiva di fotografia e video “One Image Day – Un giorno di Immagini” presso Bloomsbury Auctions Italia (Roma).

“Luca Baldassari usa la tecnica del foro stenopeico, archetipo della macchina fotografica dove invece delle lenti c’e’ un foro costruito artigianalmente, che consente ampia libertà di sperimentare non essendoci vincoli predefiniti. Baldassari crea delle fotografie che in esse inglobano la filosofia e la poetica del tempo -lungo-, il tempo per osservare davvero ciò che si sta fotografando, per emozionarsi e per impressionare la pellicola”.

Romano Sansone
nella sezione Il Rosso e il Nero, recensione della mia galleria fotografica, in particolare la foto sulle cascate del Niagara.

“Quando presentiamo un’opinione ben fondata diamo per scontato che possa non essere condivisa, ma possiamo aspettarci che eventuali differenze di vedute rimangano sul piano oggettivo dell’argomento trattato. Le cose si mettono male quando, contrariamente a quanto suggerirebbe il buon senso, siamo costretti ad esprimerci dall’alto della nostra incompetenza, come nel caso del portfolio di Luca Baldassari, realizzato mediante il foro stenopeico e che non possiamo assolutamente passare sotto silenzio; perché la comunità dei cultori di questa tecnica praticherà anche una sorta di ascesi, rinunciando ai lussi e alle comodità dei megapixel, delle ottiche prestigiose e degli automatismi, ma occupa a pieno diritto un suo posto nel mondo della fotografia. Il problema è capirsi. Perché, condizionati da anni di ricerca della qualità visiva dell’immagine, cerchiamo di sfrondare le foto da quelli che per noi sarebbero dei difetti e di vedere con gli occhi della mente il contenuto come sarebbe se quella foto l’avessimo fatta noi. Lo si vede nella foto che, tra le dieci inviate, ho scelto di commentare e che finirò per non commentare affatto: si avvicina più di tutte le altre a quello che avrei fatto io con i miei mezzi, ed è un errore fondamentale, perché il contenuto e l’aspetto non possono essere separati, una foto stenopeica va vista con gli occhi di chi ha vissuto il processo della sua nascita, così come noi valutiamo più o meno consciamente le nostre foto in funzione dei mezzi e del processo che le ha generate. Guardiamo l’intero portfolio sotto la rubrica Gallerie Personali e lasciamoci guidare dalle indicazioni che ci dà l’autore. C’è il caso che impariamo anche noi a vedere il mondo come “lo vedono loro”.
Romano Sansone, aprile 2004

Denis Curti
Direttore dell’Agenzia Contrasto, dal sito a cui ho inviato le mie foto per la lettura del portfolio

Luca Baldassari
Ho osservato con cura tutte le sue fotografie ed ho ritrovato in ognuna di esse la costante tendenza del suo sguardo a dirigersi verso spazi ampi, orizzonti marini e cieli limpidi. Anche quando i suoi scatti sono realizzati a bordo di una nave, quello che cattura l’attenzione è la capacità di cogliere il paesaggio in atmosfere sognanti e soffuse, di forte intensità comunicativa. Il linguaggio fotografico che adotta risulta inoltre funzionale a tale resa “poetica”: l’effetto flou, l’uso del bianco e nero e i movimenti interni delle sue immagini inducono a perdersi in paesaggi onirici e irreali.
Mi piacerebbe che lei potesse approfondire il tema del paesaggio, concentrandosi sulla lettura di artisti che, come Franco Fontana, hanno prediletto questo genere fotografico cogliendone gli elementi astratti in virtù di una visione selettiva della realtà.”
Denis Curti, febbraio 2010

Serena Marinelli
responsabile educativa Aps Electra, sul progetto: “Ogni cosa è illuminata”

“Se non c’è l’altro, non c ‘e nessun io.

Se non c’e’, nessun io,

non ci sarà nessuno a fare distinzioni.”

Chuang-tsu, IV sec. a.C.

Luca Baldassari. Fotografare come verbo transitivo.

Luca è un impressionista alla maniera di Monet. Dedito alla luce al limite dell’ossessione, come Monet si affida alle sue lenti, lui affida il suo sguardo alla macchina che coglie, deforma, distorce forme e colori regalando un’impressione, quell’impressione che appunto transita testimoniando, contemporaneamente, la propria soggettività (soggetto di fronte a un oggetto) e l’oggettività della materia, che da questo processo trae forza facendosi essa stessa soggetto. La sua fotografia non è pura trascrizione del reale, è materica e pittorica insieme. Si sviluppa in senso narrativo attraverso la luce e l’aria, di per sé mobili, catturandone l’essenza mentre ne perde il controllo, volutamente. Cede il posto all’altro da sé e in cauda venenum assesta la stoccata finale, fermando l’attimo prima che passi, assoggettando il tempo, conferendo poesia all’aria, immutabile solo per un attimo, e per un attimo pacificando l’ideale di eternità con ciò che è mutevole e terreno.

Luca è colui che sposta l’immagine dal reale all’immaginario arbitrariamente, lasciando però alla macchina l’indeterminatezza, cedendole il ruolo della narratrice inaffidabile in modo inedito, non falsificando o manipolando la storia, bensì traducendola con un linguaggio nuovo e, dunque, in fondo, tradendola.

C’è infine un processo di cura, il poi, una terza fase a metà strada tra il passionale e il cognitivo, che richiede attenzione, inquietudine e azione. Con dovizia artigianale Luca ci presenta l’immagine aprendo la possibilità di creare una relazione tra sè e gli altri epochè, mettendo di nuovo la propria soggettività tra parentesi, sospendendo il giudizio per fare spazio allo spazio, dare aria all’aria, rendendosi vulnerabile al dubbio ergo sum, perdendo coraggiosamente la certezza di se stesso in quanto soggetto pensante in favore del sentire, per essere di nuovo e consapevolmente in divenire, ancora “quasi”, come l’aria, le nuvole e l’acqua di cui ci fa dono, la res extensa, con il compito di portare a spasso poeticamente le forme e i più nobili pensieri, aprendo un varco tra il controllo magico della realtà dell’artista e l’umanissima rinuncia all’onnipotenza.

Serena Marinelli, aprile 2015


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